Ospedali per i nomadi: Gutsho e Tshome

Le aree remote del Tibet, situate a oltre 4500 di quota, con temperature che d'inverno scendono a 30 gradi sotto lo zero, sono abitate in prevalenza da nomadi che, pur forti e temprati dalle dure condizioni di vita, soffrono anch'essi di diversi malattie. Tra queste le più diffuse sono le affezioni dell'apparato respiratorio (molta la TBC), quelle gastro-intestinali (parassitosi e dissenterie di varia natura), quelle oculari ed i traumi. La mortalità infantile è molto elevata.
La densità di popolazione in queste aree è molto bassa ed è questa una delle ragioni per cui le strutture governative riescono a rispondere solo parzialmente ai bisogni sanitari individuali. Emergono allora iniziative spontanee che, avviate e sostenute dal governo locale e/o da organizzazioni internazionali, riescono a supplire alle necessità fondamentali della popolazione di una certa area e del territorio limitrofo.
Due sono i piccoli ospedali finora sostenuti da Eco Himal, vale a dire Gutsho e Tshome, appartenenti entrambi alla prefettura di Shigatse.
In entrambi i bacini di utenza la popolazione si aggira sui 30.000 abitanti destinati ad aumentare man mano che la struttura sanitaria migliora.
Gutsho si trova sulla direttrice Lhasa-Kathmandu, nell'area di Dingri, a 4500 m di altezza. Inaugurato nel 1995, questo ospedale è stato costruito grazie allo sforzo unito di tibetani abitanti in Tibet e all'estero. Amministrativamente esso dipende dall'ospedale di Nyalam (4 ore di viaggio in macchina e un passo di 5000 metri) cui invia i casi più gravi. Nell'ospedale lavora un team di 4 medici e un contabile. L'ospedale è munito di 16 posti letto e di una jeep ambulanza. L'acqua è fornita da un pozzo, l'elettricità da un generatore. Recentemente è stato elaborato un progetto per fornire energia mediante pannelli solari.

Tshome è un piccolo centro amministrativo del Chang Thang meridionale, l'immenso plateau che si estende ad una quota media di quasi 5000 metri verso il deserto e i laghi salati del nord. L'esigenza di costruirvi un centro di assistenza medica è stato espresso dalle autorità locali ai dirigenti del TARA che ha presentato il progetto ad Eco Himal.
A fornire l'appoggio finanziario è stata una "cordata" di amici guidati dal giornalista Rolly Marchi, con il cui sostegno è stato possibile costruire l'edificio ed avviare un corso di addestramento per il personale. L'ospedale di Tshome dipende da quello di Ngamring, che si occupa della gestione e paga gli stipendi. L'8 giugno 1999 un gruppo di donatori, rappresentanti dell'intera "cordata", ha raggiunto il piccolo centro per la cerimonia di inaugurazione ed ha dedicato l'ospedale al famoso viaggiatore e scrittore Fosco Maraini.
Nell'agosto 2000 l'ospedale è stato dotato di una jeep ambulanza e del suo garage donati dal Lions Club International, distretto 108 Ia3 e dal DAV (Deutsche Alpenverein) di Monaco.

 

Il sole su Tshome, Tibet            27 giugno 2002 – Sera

 E’ arrivato il momento di preparare i bagagli. Domani partiremo alla volta del Nepal e da lì voleremo in Italia. Ma qualcosa mi trattiene dall’iniziare ad impacchettare le mie cose e so bene cos’è. E’ il rendere reale con i gesti il distacco che inevitabilmente ci sarà con questo luogo che sembra essere fuori dal mondo. Tshome è un piccolissimo villaggio tibetano situato nel cuore del Chang Tang, la piana del nord, a circa 4850 metri di quota. Da Lhasa si arriva qui in tre giorni, valicando molti passi di cui uno di 5600 metri che sembra essere una porta aperta sulla bellezza assoluta. Grandi spazi dove le antilopi e gli asini selvatici corrono liberi incontro a montagne dai dolci versanti, su cui immaginari pittori hanno provato i loro colori con lunghe e fantasiose pennellate. Ogni tanto un piccolo nucleo di case dove una ciotola di tè salato è sempre offerta a chi passa. Tende di nomadi punteggiano il territorio, difese da cani che vivono in simbiosi con questa gente la cui vita appare ai nostri occhi durissima, e penso lo sia davvero. Seguono le stagioni coi loro animali, mentre i ritmi e le vie nate in tempi lontani sono sempre più minacciati dall’avanzare della nuova attuale società.

E’ difficile continuare a scrivere perché intorno a me il viso di una donna, di un uomo e di quello che probabilmente è il loro bambino, mi fissano in silenzio, rapiti dai segni che la penna va a formare sul foglio di carta.

Sono seduta all’esterno del piccolo ospedale di Tshome che è stata la nostra casa per molti giorni. La prima volta che sono venuta qui è stata nel giugno del 1999. Allora accompagnavo un gruppo di persone che, insieme a molte altre guidate in una cordata ideale da Rolly Marchi, avevano raccolto i fondi per costruire questo punto di assistenza, dedicato al grande Fosco Maraini, di importanza fondamentale per la popolazione che abita questa terra. L’ospedale più vicino era prima a tre giorni di cavallo e ancora più lontano per chi vive verso nord. Il tramite per la realizzazione del progetto fu, ed è anche ora, Eco Himal, un’associazione di volontariato con sede a Varese, che in Tibet sostiene molte iniziative e con la quale collaboro da diversi anni. Quella prima visita fu brevissima ma Tshome conquistò il mio cuore e così, quando nel laboratorio di fisica dell’istituto tecnico dove lavoro un insegnante realizzò con gli studenti un piccolo caricabatterie a pannelli solari, l’idea di poter fare una cosa simile per poter dare energia all’ospedale, iniziò ad essere insistentemente presente nella mia mente. Chiesi un parere a Gian Pietro Verza, responsabile tecnico della Piramide CNR costruita in Nepal, nel Khumbu, e che era già stato con me all’inaugurazione del 1999. La mia idea divenne così il nostro sogno comune. Grazie al sostegno economico della sezione dei Lions Club di Sanremo, che già nel 2001 aveva donato una jeep all’ospedale di Tshome, e alla collaborazione col progetto EV-K2-CNR, il sogno è poi divenuto realtà e per di più proprio in questo anno dedicato alle montagne e a chi tra le montagne vive. Così eccoci qui. Non è stato facile. Le difficoltà tecniche, quelle burocratiche e perché no, anche quelle quotidiane, sono state molte, ma mentre l’impianto elettrico arrivava in ogni stanza e i pannelli fotovoltaici raccoglievano l’energia solare per farne dono alle lampade che una dopo l’altra trovavano una propria collocazione, siamo stati oggetto di attenzioni che ci hanno fatto sentire a casa. Il latte caldo del mattino, lo yogurt e le palline di farina d’orzo tostata, chiamata tsampa, a metà giornata, gli sguardi curiosi tra le tendine della stanza d’ospedale dove abbiamo dormito, i tanti, tantissimi sorrisi dati e ricevuti, sono stati il perfetto contorno all’emozione che abbiamo provato ieri sera, quando nel buio della notte siamo usciti nel cortile ad ammirare l’edificio illuminato. L’anima di questo luogo è un medico tibetano, Namka, che cura usando sia la medicina tradizionale che quella moderna. Registra accuratamente ogni visita, e quando ci ha mostrato il registro relativo allo scorso anno siamo rimasti davvero stupiti. 6543 pazienti di cui 3916 assistiti all’interno dell’ospedale e i restanti durante le sue visite sul territorio. Ad intervalli regolari o in caso d’emergenza si sposta infatti con la jeep, restando lontano da Tshome anche diversi giorni, spingendosi fino agli angoli più remoti nascosti tra le montagne, perché non sempre i nomadi hanno la possibilità di arrivare fin qui. Quando invece lo fanno si accampano fuori o dentro il cortile dell’ospedale con le loro tende, tessute con filo di pelo di yak, o alloggiano in piccole stanze ricavate in un edificio laterale, o ancora dormono nel Gompa, il tempio costruito vicino alla sorgente che permette a questo villaggio di sopravvivere. Namka è aiutato nel suo operato da un’ostetrica e da un assistente, e loro vivono con le famiglie in piccole e modeste abitazioni all’interno del perimetro dell’ospedale. Anche lì ora arriva la corrente elettrica. Al lavoro hanno partecipato tutti, gli autisti, l’interprete, i pazienti presenti. Ognuno ha fatto qualcosa. Nessuno ha chiesto niente. E’ stato il loro modo, fiero e riservato, per dire grazie. C’è ancora bisogno di molto quassù. La vita media non supera i cinquant’anni, la mortalità infantile è di circa 3 nati su 4, le patologie spesso sono gravi e nessuno è in grado di fare il che pur semplice intervento chirurgico. Ma il medico ci dice con evidente soddisfazione che da quando l’ospedale funziona la qualità della vita è nettamente migliorata e pian piano stanno diminuendo i morti per problematiche di base, vuoi perché ora gli antibiotici ci sono, vuoi perché un parto difficile può essere assistito. Un passo per volta. La luce elettrica , la lampada d’emergenza, il dispositivo portatile per le visite nelle tende, anche questo fa parte del cammino.

Un soffio di vento freddo mi fa alzare la testa dal foglio su cui sto scrivendo. I visi curiosi se ne sono andati, ma il mio sguardo incontra quello del “rosso” un grosso cane che abbiamo chiamato così per via del drappo che ha avvolto intorno al collo. Rosso appunto. Con lui e i suoi compagni abbiamo spartito il cibo della sera, ma lui è il più schivo e non si è mai lasciato avvicinare completamente. Mi fissa come se avesse capito che stiamo per andare via e con il suo essere qui ci volesse salutare. Allungo una mano, lentamente, e lascio che scorra sul suo ispido capo. Un altro regalo di questa magica terra.

Patrizia

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