Nepal, spedizione al Lhotse – 8516 metri

Il Lhotse, una montagna alta più di 8000 metri… anche se sono molti anni che frequento l’area delle Grandi Montagne, ogni volta resto incantata dalla loro maestosità, dalla loro bellezza, dalla loro imponenza… E non sono solo le più alte a farmi provare emozioni e sensazioni così intense, sono anche le cime più basse, le colline da dove inizia il cammino, le valli con i loro villaggi, la gente, i campi coltivati, i fiori… Piccole parti che formano il Tutto…

 

Namche Bazaar

Thamserku

Ama Dablam

Scalpellino

 

Per giungere ai piedi del Lhotse si percorre la valle del Khumbu dove ero già stata alcuni anni fa, arrivando fino al Kala Pattar. Da qui si costeggia la parte alta dell’impressionante ghiacciaio del Khumbu, con i suoi laghi contenuti da alte pareti sempre più bianche. Infine ecco il campo base, a circa 5200 metri, una grande distesa più o meno pianeggiante coperta in primavera di tende colorate. Il campo accomuna il punto di partenza per il Lhotse e per Sagarmatha, l’Everest, ed è sovrastato, in taluni momenti quasi schiacciato dalla presenza dell’Ice Fall, la grande cascata di ghiaccio che si muove in continuazione, mossa dalla sua stessa massa. Buchi, muri, seracchi, compiono un lento cammino verso valle, modificando in continuazione il percorso per gli alpinisti, e riempiendo la notte di brontolii, schiocchi, sordi od intensi rumori.

 

Ghiacciaio del Khumbu

Ice Fall. Sullo sfondo il Lhotse

 

La spedizione con cui ero aveva come meta il Lhotse, e la cima è stata raggiunta!

Mario Merelli e alcuni degli alpinisti della spedizione

Passaggio lungo l'Ice Fall

Poco prima della vetta...

Festa al campo base!

 

Mentre si avvicendavano le salite e le discese ai campi superiori per portare verso l’alto i materiali e favorire l’acclimatamento, io ho ripercorso la valle in senso contrario con un gruppo di trekkers, per poi tornar su al campo base sola…

Giorni magnifici, circondata dalla natura superba di quei luoghi in continua trasformazione, perché il tempo delle fioriture, delle nascite, dei raccolti, si concentra in pochi mesi e in quel tempo ristretto deve dare il massimo di sé. Salendo e scendendo quattro volte in cinque settimane ho calpestato neve, visto i rododendri in fiore bruciati da un improvviso ritorno del gelo, arare i campi, poi i primi germogli, primule far capolino nella magica area del monastero di Deboche, nascere cuccioli di yak, il tripudio di chiome fiorite di nuovo per non perdere l’occasione della stagione, torri di ghiaccio sciogliersi al sole e correre verso la valle sotto forma di acqua… il percorrere senza fretta quei sentieri, mangiando nepalese o tibetano, stando in silenzio su una sommità rocciosa o nel buio di una gompa, ha fatto sì che mi immergessi ancora più a fondo dentro a quel luogo….

Fioritura dei rododendri

Profumi, colori, rumori, si sono susseguiti sulla strada della Vita…

Bimba di Sanasa

AniLa al monastero di Deboche

 

Non ero lì con gli alpinisti per raggiungere la vetta, ero lì per raccontare di loro, della montagna e non solo. La calma che accompagna tale tempo mi ha permesso di guardare, ascoltare, dialogare con persone che parlavano molte delle lingue del mondo, mi ha confrontato coi diversi modi di concepire una salita comprendendo una volta di più che l’alpinismo, come qualunque altra cosa, è vissuto in modo soggettivo e che da questo derivano spesso fiumi di parole più impetuosi di quelli himalayani. Poi in una splendida giornata di maggio tutto si è concluso. Gli amici hanno raggiunto la cima e in pochi giorni mi sono trovata catapultata di nuovo nel caos della città di Kathmandu… come sembravano lontani i muri di pietra coperti di mantra e la voce delle montagne…

 

Pietra coperta di mantra

Puja sopra a Tyangboche

 

E anche ora come sono lontani….

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